Non profit

Accanto al malato riscoprendo l’umanità

Gli atti sanitari e d’assistenza sono compiti dei medici e degli infermieri e non dei volontari che non devono sostituirli o assumersi compiti istituzionali.

di Gian Maria Comolli

Ho accompagnato un mio parente al pronto soccorso in un grosso ospedale milanese e mentre aspettavo ho notato due volontari che svolgevano funzioni, secondo me, spettanti agli operatori sanitari: togliere le flebo, accompagnare in bagno gli ammalati, imboccare i non autosufficienti. Cosa ne pensa? Maria Colombo, email La sua osservazione è perfettamente condivisibile; gli atti sanitari e d?assistenza sono compiti dei medici e degli infermieri e non dei volontari che non devono sostituirli o assumersi compiti istituzionali. Per esempio, imboccare il malato non è di pertinenza del volontario ma è un incarico dell?istituzione. Anche perché, di fronte a un evento avverso, il volontario ne risponderebbe personalmente. Dedicandomi alla formazione mi accorgo della difficoltà nel trasmettere questi concetti sia perché i volontari operando concretamente si sentono utili sia perché vari enti, spesso carenti di personale, delegano facilmente. Il volontario non può sostituire nessuna figura sanitaria ma deve eseguire professionalmente il suo compito specifico che è, soprattutto, un servizio di tipo relazionale. E di questo supporto c?è un immenso bisogno. L?esperienza quotidiana mostra l?esigenza di comunicare intrinseca nei nostri contemporanei. Un bisogno in crescita durante la malattia di fronte a un?impostazione sanitaria erede del positivismo che considera prevalenti gli aspetti organici trascurando quelli relazionali ed emozionali. È brutto a dirlo: ma che il malato si senta solo e ne soffra, che sia in preda al panico e all?angoscia pensando alla terapia e all?intervento del giorno dopo, questo alla medicina il più delle volte non interessa. Che il malato sia spaventato dal pensiero della morte che sente avvicinarsi ogni giorno di più, questo la medicina spesso lo trascura. La comunicazione riveste per il sofferente una valenza terapeutica attenuando l?aggressività, l?isolamento, la depressione e la passività. Oggi, nuovi procedimenti diagnostici e terapeutici hanno alleviato il dolore fisico, ma l?ansia, la trepidazione e la paura possono trovare un conforto solo effimero nella farmacologia; ecco allora l?esigenza di un dialogo da persona a persona, al di là di ogni ruolo; un rapporto tra due soggetti di pari dignità, un incontro tra due volti che si guardano negli occhi. Questo è il compito del volontario. Ma comunicare significativamente, e qui sta il problema, è difficile; serve un?adeguata e lunga formazione anche se la nostra quotidianità è intessuta di molteplici parole. Il colloquio con il sofferente rimane sempre una sfida perché si possono pronunciare parole giuste o sbagliate, quelle che aprono delle ferite o quelle che aiutano a guarire. Sedendoci accanto al malato dobbiamo oltrepassare le parole per giungere all?interscambio di sentimenti perché soltanto a questo livello comprendiamo come il bisognoso d?aiuto sta affrontando la prova esistenziale. Fino a quando la nostra parola non è in grado di creare un clima che favorisca lo scambio di sentimenti, dell?altro conosciamo poco perché nessuno dei due si è veramente aperto.


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